Siamo da poco tornati da Liguria, una fascia di terra compresa tra mare e monti dove i colori,gli spazi e le tradizioni variano di chilometro in chilometro. Ricca di borghi medievali dove ciascuno custodisce la propria perla, la Liguria è una terra vera, una terra sincera anche quando i turisti affollano stradine diroccate, ristorantini a picco sul mare e piccoli bed & breakfast aggrappati alla montagna.
Oggi voglio spendere qualche riga sul primo degli splendidi borghi che abbiamo visitato su consiglio di un mio caro amico che pur non essendo mai stato nella “regione del pesto”, è sempre informatissimo sui luoghi più incantevoli e magici di tutta la nostra bell’Italia.
Tra i monti della Val Nervia, ai piedi del monte Rebuffao, si respira aria medievale. Il borgo di Dolceacqua è caratterizzato, in cima, dal castello della famiglia Doria e a valle, dal ponte a schiena d’asino che unisce la parte vecchia con quella più recente. Gli stretti vicoli salgono e scendono repentinamente, si intersecano e ogni tanto fanno capolino oltre le spesse mura della cittadina, quasi a prendere una boccata di respiro. Porte piccole e palazzi alti, finestre socchiuse, dentro alle stanze qualcuno parla, qualcuno mangia: si sente il tintinnare delle posate sui piatti; sedie di plastica bianca fuori dai portoncini d’ingresso ed alberghetti mignon che ricordano più la casa delle fate che un hotel.
Questa è Dolceacqua, un tuffo nel passato. Un tuffo nel medioevo che per quanto ci sforziamo, per quanto i testi ci permettano di rivivere in qualche modo quel pezzo di storia, purtroppo, noi non riusciremo mai a capire davvero come si potesse costruire, come si potesse comunicare e trasportare, non riusciremo mai a godere della vita in quel passato tanto lontano quanto vicino, da permetterci di toccare pietre messe da chissà chi per formare un opera meravigliosamente ammirevole ed affascinante.
Come ho scritto prima ogni località della Liguria, come del resto, dell’Italia, possiede una sua “perla”, una sua caratteristica, una sua attrazione, un suo prodotto speciale, tuttavia la Liguria continua ad essere famosa solo per il suo pesto.
Ho pensato dunque che non sarebbe una cattiva idea entrare nei dettagli, nella vita e nelle tradizioni dei “popoli” italiani partendo dall’enogastronomia. Qui a Dolceacqua è un’uva ad essere protagonista, l’uva dal quale si produce il Rossese di Dolceacqua D.O.C. (denominazione ottenuta nel 1972).
Da una vigna robusta, da una vigna che cresce in un terreno composto per un 70% da pietre, su pendii sostenuti da muretti a secco (maixei in dialetto ligure), da una vigna che mantiene la sua autenticità nasce un vino giovane, morbido e non troppo corposo che si abbina senza difficoltà ai cibi tipici della zona e ad altre diverse pietanze, dalle carni rosse,alle bianche, dal pesce ai formaggi. Nella zona lo gustano pure come aperitivo per la sua aroma fruttata che ricorda vagamente le ciliegie cotte.
Noi l’abbiamo scoperto uscendo dal borgo. Nel centro storico di Dolceacqua c’è un punto vendita di vini Maixei dove ne è possibile la degustazione mangiucchiando qualche stuzzichino. Personalmente non lo conoscevo e tantomeno ne avevo sentito parlare, un perfetto sconosciuto quindi che mi ha conquistata con la sua storia e tecnica di produzione. Il Rossese di Dolceacqua, amato anche da Napoleone, è in effetti un vino difficile da trovare fuori zona, i 30 coltivatori che fanno parte della cooperativa trattengono per sé anche il 40% delle uve, questo permette una produzione di sole circa 50000 bottiglie l’anno. Secondo il disciplinare per essere denominato D.O.C., questo vino garantisce una composizione che varia tra il 95 e 100% di sole uve Rossese. L’eventuale rimanenza può essere sostituita con altre uve rosse non aromatiche locali.
Dolceacqua è un posto davvero magico. La quiete che trasmette è nei riflessi del corso d'acqua che lo attraverso e nel sapore del vino Rossese.
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